sabato 17 maggio 2008


Traffico paralizzato, camion Asìa sotto scorta. Cento roghi, raid di giovani in motorino: cassonetti rovesciati

Tra roghi, blocchi stradali e raid di giovani in motorino, si è consumata l’ennesima giornata drammatica della città discarica. Quattro diverse barricate improvvisate a Pianura in mattinata, uno stop imposto al traffico in via Imbrani e uno in via Diocleziano, cassonetti rovesciati in piazzetta Cesarea a Salvator Rosa, e poi ancora al corso Vittorio Emanuele; polizia costretta a intervenire alla riviera di Chiaia per fermare un gruppo di donne che spargeva il contenuto dei sacchetti nella strada. Iin serata ancora proteste in via Consalvo e in via Caio Duilio. Più tardi nuovi allarmi: alla Ferrovia, in piazza Principe Umberto e in via Firenze, dove erano stati appiccati altri roghi. E in nottata i blocchi si estendono ai Colli Aminei e a Secondigliano. Il traffico è impazzito, auto in coda per ore. Quasi cento incendi nelle ultime 24 ore. Un superlavoro per i vigili del fuoco, che ieri nella zona orientale hanno subìto anche tentativi di aggressione da parte di alcuni teppisti. Sempre la stessa la tecnica dei raid: donne che spargono la spazzatura, ragazzi in motorino che arrivano e ribaltano i cassonetti. E da ieri sera, a Fuorigrotta, i camion dell’Asìa viaggiano sotto la vigilanza delle volanti della polizia. Una misura preventiva adottata alla luce del clima incandescente che si respira nella zona occidentale. Un bollettino di guerra: poco dopo mezzanotte la polizia è dovuta intervenire a Barra, dove una squadra di vigili del fuoco impegnata a spegnere un rogo ha subìto l’aggressione da parte di un gruppo di facinorosi. Il sindaco Iervolino definisce la situazione «raccapricciante». «A Pianura - spiega l’assessore Giorgio Lanzaro - ci sono state molte manifestazioni in diverse zone. Ci ha telefonato il parroco di San Lorenzo, è disperato. Domenica ci sono le prime comunioni e la chiesa è assediata dai rifiuti». La situazione resta critica nei pressi delle scuole: la presenza dei topi tra l’immondizia preoccupa non poco le madri. Il presidente della municipalità Stella, Alfonso Principe, ogni sera organizza ronde per le strade cercando di convincere i cittadini a non bruciare i rifiuti. Ma la crisi diventa sempre più pressante. E ieri ha scritto al commissariato chiedendo l’intervento dell’Esercito. Davanti alle finestre della materna Decroly crescono i cumuli dei sacchetti, i bambini restano in aula con le finestre chiuse. Il direttore dell’osservatorio astronomico, Luigi Colangeli, ha chiesto alla municipalità di intervenire per far liberare i contenitori interni al comprensorio dell’istituto. «Se questo non avvenisse - spiega Colangeli - saremmo costretti a chiudere per garantire la salute dei nostri dipendenti». Anche la ditta che assicura i pasti ai bambini delle scuole del quartiere è assediata dai rifiuti. Ieri l’Asìa è riuscita a sversare quasi tutta la spazzatura prodotta in giornata (fino alle 20 aveva portato via mille tonnellate, in serata è riuscita a smaltire altre 200-300 tonnellate) e da oggi spera di ottenere quote aggiuntive per poter cominciare a smaltire l’arretrato. Dal commissariato di governo fanno sapere che con la ripresa delle attività negli impianti di Cdr ieri in Campania è stato possibile raccogliere circa 7000 tonnellate di spazzatura. A Napoli ne restano in strada 5200. Qualche spiraglio potrebbe aprirsi con il dissequestro dell’impianto di Pianodardine.

venerdì 9 maggio 2008

Chi ha ucciso Aldo Moro?


9 Maggio 1978, trent'anni fa, veniva ucciso l'On. Aldo Moro, allora Presidente della Democrazia Cristiana.
Di cose ne sono state dette tante, cinque processi ed anni di inchieste non hanno fatto luce né sulle modalità del sequestro e della prigionia di Moro né sul suo assassinio.
Ci sono state tante chiacchiere, tante storie, alcune delle quali hanno del fantastico, e tanti racconti, tra cui la testimonianza di Mario Moretti che afferma di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio. Insomma tanta "carne al fuoco" ma assolutamente poca chiarezza e poche verità.
C'è stato, addirittura, uno dei capi storici delle Brigate Rosse, Renato Curcio, che dice ad un altro capo delle BR, Alberto Franceschini: "Mi sono convinto che Moretti è una spia, è lui che mi ha fatto arrestare."
Poi ci sono alcuni, pochi, fatti.
Negli atti dell'inchiesta del primo processo Moro è possibile trovare scritto, tra le perizie sulla morte: "... nel fatto vennero impiegate sicuramente due armi".
Più avanti:"... calibro 7,65 Browning 32 AUTO, che sparò almeno 10 colpi (cartucce di fabbricazione Western-Winchester con marchio sul fondello "W-W 32 AUTO, proiettili di tipo interamente mantellato in giding)..."
Ed ancora: "... almeno un colpo (cartuccia G.F.L. 9mm 34,75, ossia di fabbricazione per le forze amate 1975) ...".
Da questi fatti cosa se ne deduce? Che sparò più di una persona e furono usate munizioni destinate alle forze NATO (le 7,65 Browning di tipo interamente mantellato in giding) ed utilizzate dalla nostre forze armate (le cartucce G.F.L. 9 mm 34,75).
Bisogna aggiungere che chi si occupava della logistica, all'interno delle BR, acquistava regolarmente le munizioni utilizzando documenti falsi e, in base a quanto hanno sempre dichiarato, non sono mai state acquistate armi o munizioni nel mercato clandestino o tramite canali usati dalla criminalità.
Infine c'è il famoso memoriale Moro o, per lo meno, ciò che di questo memoriale ci hanno fatto conoscere. Verso la fine della sua prigionia Moro scrive: "... io desidero dare atto che alla generosità delle Brigate Rosse devo, per grazia, la salvezza della vita e la restituzione della libertà. Di ciò sono profondamente grato."
Bisognerebbe anche tenere conto del fatto che, in questa nostra Repubblica, non si è mai conosciuta la verità sui più gravi fatti di sangue, sulle stragi. Non si capisce, quindi, perché i cittadini italiani debbano, riguardo al caso Moro, essere correttamente informati della verità.
Il ricordo, in questo trentesimo anniversario, torna a quei giorni, durante i quali si tennero numerose discussioni, oltre che nella direzione strategica delle BR (delle quali si sa ben poco), anche nelle sedi e nelle assemblee del Movimento delle quali, per diretta partecipazione, si è a conoscenza di ogni particolare.
Torna alla mente il fatto che si era più che certi che la liberazione di Moro sarebbe stata politicamente enormemente più vantaggiosa, per tutto il movimento antagonista, e quindi anche per le BR che in quel movimento sostenevano di collocarsi, anche alla luce del fatto che Moro, durante la sua prigionia, aveva finito per dissociarsi completamente dal suo partito, comunicando di volerne uscire rinunciando a qualsiasi carica. La Democrazia Cristiana, insieme a tutto il fronte della "fermezza" che negava qualsiasi trattativa, alla fine del sequestro, con la liberazione di Moro, ne sarebbe uscita con le ossa rotte.
L'esecuzione della sentenza di morte, invece, avrebbe portato, come in effetti è successo, alla fine non solo delle BR, che avrebbero perso l'appoggio e la simpatia che, fino ad allora, avevano trovato sia tra i lavoratori delle grandi fabbriche del nord e sia in alcune frange del Movimento, ma alla fine del Movimento stesso.
Ci si rendeva conto perfettamente che la liberazione di Moro avrebbe creato una grossa frattura all'interno della DC, mentre la sua morte sarebbe stata fatale per tutto il movimento antagonista.
Ebbene, le BR scelsero, incredibilmente ed in maniera suicida, la seconda soluzione.
Di fronte a qualsiasi evento di questo tipo bisognerebbe sempre domandarsi: a chi conviene?
Come normalmente avviene in qualsiasi fatto criminoso nel quale si cerca il movente per poter identificare i responsabili, anche in questo caso è tra coloro che hanno tratto profitto dalla morte di Moro che bisognerebbe cercare gli assassini.

mercoledì 7 maggio 2008

Fini sull'assassinio di Verona: "Più gravi i fatti di Torino"


Gli scontri e le contestazioni della sinistra radicale contro la Fiera del Libro di Torino "sono molto più gravi" di quanto accaduto a Verona. Lo sostiene Gianfranco Fini, a Porta a porta. L'aggressione dei naziskin veronesi e la violenza dei centri sociali torinesi - afferma il Presidente della Camera- "sono due fenomeni che non possono essere paragonati". A giudizio di Fini, in sostanza, se dietro l'aggressione di Verona non c'è alcun "riferimento ideologico", a Torino le frange della sinistra radicale "cercano in qualche modo di giustificare con la politica antisionista", un autentico antisemitismo, veri e propri "pregiudizi di tipo politico-religioso".

Insomma, per Fini è più grave essere oppositori di sinistra che essere dei fascisti assassini.

A parte il fatto che dietro l'aggressione di Verona, come dietro tutte le aggressioni subite da chi viene visto come "diverso", con un diverso colore della pelle, una diversa nazionalità, un diverso odore, un diverso modo di pensare, c'è sempre un riferimento ideologico e, guarda caso, in questa occasione, i riferimenti ideologici sono inequivocabilmente fascisti e, quindi, di destra.
Preoccupante, ma ce lo aspettavamo, è l'affermazione del neo Presidente della Camera dei Deputati, l'onorevole Fini, il quale non perde l'occasione di criminalizzare un'azione dimostrativa, affatto violenta, come il falò della bandiera israeliana.
A proposito di Israele come Stato bisognerebbe ricordare che non ha una vera e propria Costituzione, e che la sua capitale, Gerusalemme, indicata nella Legge Fondamentale del 1980, non è riconosciuta dalla comunità internazionale in quanto territorio occupato. Infatti tutti gli stati che hanno relazioni internazionali con Israele hanno le proprie ambasciate non nella Capitale Gerusalemme, ma a Tel Aviv, come disposto dalle Risoluzioni ONU 252 del 21/05/1968 e 267 del 03/07/1969.
Quindi, caro onorevole Fini, mentre è assolutamente lecito schierarsi dalla parte di chi non riconosce lo Stato di Israele e la sua capitale, senza per questo essere antisemiti (questo lo si può lasciare ai suoi amici), altrettanto non si può dire per chi massacra ed uccide in nome dell'ordine e della "pulizia".

martedì 29 aprile 2008

Ieri le bombe, oggi gli stupri


Dopo le vicende passate delle stragi di Stato, la strategia della tensione, gli anni di piombo e le centinaia di morti sulle piazze italiane non dovremmo più stupirci di nulla.
Ed infatti la notizia, apparsa su La Repubblica di sabato scorso, non sembra abbia suscitato particolare clamore, quasi a significare che tutti ce l'aspettassimo.
In breve la cronaca dei fatti.
Mercoledì 16 aprile una studentessa sudafricana scende, intorno alle 21, da un autobus alla stazione di La Storta, nella periferia nord di Roma.
Un rumeno, Joan Rus, la minaccia con un coltello e la costringe a seguirlo in un terreno appartato dove la violenta e poi la ferisce gravemente, col coltello, all'addome.
Alle 22:30 una pattuglia dei Carabinieri, chiamata da due testimoni del fatto, arresta il rumeno e la ragazza viene ricoverata all'ospedale San Filippo Neri.
La notizia viene tenuta segreta fino alle 14 del 19 aprile.
Poi entrano in gioco i due "angeli salvatori".
Uno è Massimiliano Crepas, che si da malato quando viene convocato per l'interrogatorio, l'altro, un certo Bruno Musci, ha precedenti per spaccio di stupefacenti e anche due dei suoi figli, Marco e Roberto, non sono perfettamente lindi (uno dei due è detenuto).
Il 20 aprile Musci è al San Filippo Neri dove "casualmente" scopre che è ricoverata la ragazza stuprata e ferita e, ancora "casualmente", incontra Barbara Bardelli, candidata per la Rosa Bianca di Marco Baccini. Il giorno dopo Bruno Musci viene immortalato sullo sfondo della fotografia, pubblicata su Il Messaggero, in cui Alemanno e Baccini sigillano con una stretta di mano il patto per la legalità e l'apparentamento elettorale.
Il rumeno arrestato, nel frattempo, ha dato incarico, per la sua difesa, a legali che, con le sue attuali finanze, non potrà mai permettersi e, "casualmente", questi sono di destra.
Ora sorgono alcuni dubbi...
Come mai i Carabinieri hanno tenuto nascosto il fatto per tre giorni?
Come mai i legali di Rus hanno chiesto una perizia psichiatrica che non permetterà il suo interrogatorio a tempi brevi?
Poi c'è una signora rumena che conosce Rus. Si presenta in Procura dicendo che quel tipo (il Rus) avrebbe fatto qualsiasi cosa per soldi e che nella comunità rumena, nei giorni precedenti il 16 aprile, girava la voce di un imminente episodio che avrebbe screditato l'intera comunità.
L'inchiesta è segretata ma, questo è certo, qualcuno sta spingendo affinché il rumeno sia considerato, nella perizia psichiatrica, disturbato e non soltanto alla ricerca di facili guadagni.
Chi abbia interesse in fatti come questo è fin troppo facile immaginarlo.